Di Emanuele Martinelli
Una domanda forse ingenua ma credo doverosa sorge spontanea dopo l’ennesimo naufragio di migranti. È proprio impossibile agire contemporaneamente attraverso queste azioni:
- intercettare in mare i barconi utilizzando le sofisticate tecnologie oggi a nostra disposizione e intervenire salvando le persone appena avvistate con i mezzi navali in dotazione a organizzazioni internazionali legittimate dai Paesi europei;
- destinare i profughi in modo equo alle diverse nazioni europee; secondo legami di parentela per precedenti migrazioni, o per singole possibilità di accesso (PIL per nazione) all’istruzione e di conseguenza al mercato del lavoro;
- aprire da parte della CE un dialogo reale e concordati strutturati con i Paesi da cui i migranti provengono, facendo leva sulle nostre (parlo di noi europei) risorse culturali ed economiche e sul nostro potere contrattuale;
- parlare con questi Paesi di sviluppo, istruzione, lavoro, tecnologie, diritti e doveri; e non solo di scambi commerciali.
È utopia o possibilità concreta che si avvii un processo simultaneo su questi fronti? Qualcuno direbbe che tutto questo è già in corso, e forse è così, ma in modo disomogeneo, polverizzato, improvvisato o delegato alla buona volontà di qualcuno. Ma non è più derogabile un programma comune che parta dal rispetto delle vite umane e dai principi con cui si muovono economie ed investimenti. Il problema non è certamente quello di limitare le partenze. Ma di capire perché le persone partono e muoversi di conseguenza. Ricordando che nel Mediterraneo si stimano 26.000 morti in 10 anni e che l’imbarcazione con circa 200 persone a bordo era stata avvistata vicino a Crotone e nessuno ha fatto niente.
Anche se non c’è limite al peggio, forse siamo davvero a un punto di non ritorno.